I
5.
10.
I
15.
20.
I
25.
30.
I
35.
.
I
45.
50.
I
55.
60.
I
65.
70.
I
75.
80.
I
85.
90.
I
95.
100.
I
105.
110.
I
115.
120.
I
125.
130.
|
|
I
Sta Federico imperatore
in Como.
Ed ecco un messaggero entra in Milano
da Porta Nova a briglie abbandonate.
"Popolo di Milano", ei passa e chiede,
"fatemi scorta al console Gherardo."
Il consolo era in mezzo de la piazza,
e il messagger piegato in su larcione
parlò brevi parole e spronò via.
Allor fe cenno il console Gherardo,
e squillaron le trombe a parlamento
II
Squillarono le
trombe a parlamento:
ché non anche risurto era il palagio
su gran pilastri, né larengo vera,
né torre vera, né a la torre in cima
la campana. Fra i ruderi che neri
verdeggiavan di spine, fra le basse
case di legno, ne la breve piazza
i milanesi tenner parlamento
al sol di maggio. Da finestre e porte
le donne riguardavano e i fanciulli.
III
"Signori milanesi,"
il consol dice,
"la primavera in fior mena tedeschi
pur come duso. Fanno pasqua i lurchi
ne le lor tane, e poi calano a valle.
Per lEngadina due scomunicati
arcivescovi trassero lo sforzo.
Trasse la bionda imperatrice al sire
il cuor fido e un esercito novello.
Como è coi forti, e abbandonò la lega."
Il popol grida: "Lesterminio a Como."
IV
"Signori milanesi,"
il consol dice,
"limperator, fatto lo stuolo in Como,
move loste a raggiungere il marchese
di Monferrato ed i pavesi. Quale
volete, milanesi? od aspettare
da largin novo riguardando in arme,
o mandar messi a Cesare, o affrontare
a lancia e spada il Barbarossa in campo?"
V
Or si fa innanzi
Alberto di Giussano.
Di ben tutta la spalla egli soverchia
gli accolti in piedi al console dintorno.
Ne la gran possa de la sua persona
torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano
la barbuta: la bruna capelliera
il lato collo e lampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia,
ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
È la sua voce come tuon di maggio.
VI
"Milanesi,
fratelli, popol mio!
Vi sovvien" dice Alberto di Giussano
"calen di marzo? I consoli sparuti
cavalcarono a Lodi, e con le spade
nude in man gli giurâr lobedienza.
Cavalcammo trecento al quarto giorno,
ed a i piedi, baciando, gli ponemmo
i nostri belli trentasei stendardi.
Mastro Guitelmo gli offerì le chiavi
di Milano affamata. E non fu nulla."
VII
"Vi sovvien"
dice Alberto di Giussano
"il dì sesto di marzo? A piedi ei volle
tutti i fanti ed il popolo e le insegne.
Gli abitanti venian de le tre porte,
il carroccio venìa parato a guerra;
gran tratta poi di popolo, e le croci
teneano in mano. Innanzi a lui le trombe
del caroccio mandâr gli ultimi squilli,
innanzi a lui lantenna del carroccio
inchinò il gonfalone. Ei toccò i lembi."
VIII
"Vi sovvien?"
dice Alberto di Giussano:
"vestiti i sacchi de la penitenza,
co piedi scalzi, con le corde al collo,
sparsi i capi di cenere, nel fango
cinginocchiammo, e tendevam le braccia,
e chiamavam misericordia. Tutti
lacrimavan, signori e cavalieri,
a lui dintorno. Ei, dritto, in piedi, presso
lo scudo imperïal, ci riguardava,
muto, col suo diamantino sguardo."
IX
"Vi sovvien,"
dice Alberto di Giussano,
"che tornando a lobbrobrio la dimane
scorgemmo da la via limperatrice
da i cancelli a guardarci? E pe i cancelli
noi gittammo le croci a lei gridando
O bionda, o bella imperatrice, o fida,
o pia, mercé, mercé di nostre donne!
Ella trassesi indietro. Egli cimpose
porte e muro atterrar de la due cinte
tanto chei con schierata oste passasse."
X
"Vi sovvien?"
dice Alberto di Giussano:
"nove giorni aspettammo; e si partiro
larcivescovo i conti e i valvassori,
venne al decimo il bando Uscite, o tristi,
con le donne co i figli e con le robe:
otto giorni vi dà limperatore ,
E noi corremmo urlando a SantAmbrogio,
ci abbracciammo a gli altari ed a i sepolcri.
Via da la chiesa, con le donne e i figli,
via ci cacciaron come can tignosi."
XI
"Vi sovvien"
dice alberto di Giussano
"la domenica triste de gli ulivi?
Ahi passion di Cristo e di Milano!
Da i quattro Corpi santi ad una ad una
crosciar vedemmo le trecento torri
de la cerchia; ed al fin per la ruina
polverosa ci apparvero le case
spezzate, smozzicate, sgretolate:
parean file di scheltri in cimitero.
Di sotto, lossa ardean de nostri morti."
XII
Così dicendo
alberto di Giussano
con tutte due le man copriasi gli occhi,
e singhiozzava: in mezzo al parlamento
singhiozzava e piangea come un fanciullo.
Ed allora per tutto il parlamento
trascorse quasi un fremito di belve.
Da le porte le donne e dai veroni,
pallide, scarmigliate, con le braccia
tese e gli occhi sbarati al parlamento,
urlavano Uccidete il Barbarossa .
XIII
"Or ecco,"
dice Alberto di Giussano,
"ecco, io non piango più. Venne il dì nostro,
o milanesi, e vincere bisogna.
Ecco: io masciugo gli occhi, e a te guardando,
o bel sole di Dio, fo sacramento:
diman da sera i nostri morti avranno
una dolce novella in purgatorio:
e la rechi pur io!" Ma il popol dice:
"Fia meglio i messi imperïali. Il sole
ridea calando dietro il Resegone.
|
I. Sta Federico
ecc.: essenziale e vigoroso, il verso dapertura delinea la sempre
paurosa potenza di Federico Barbarossa e insieme fa quadro. Disceso per
la quinta volta in Italia nellottobre 1174, dopo avere vanamente
tentato di assalire Alessandria ed essersi fortunosamente liberato dalla
cerchia dei "latini acciari" nellaprile 1175, secondo
cantano le quartine Su i campi di Marengo, limperatore riparò
dapprima a Pavia, poi, nella primavera del 1176, a Como, per raccogliervi
gli eserciti di rinforzo provenienti dalla Germania e in un secondo tempo
per unirsi alle milizie alleate di Pavia e del marchese Guglielmo di Monferrato.
La scena è a Milano, alla vigilia della battaglia di Legnano (29
maggio 1176).
3. da Porta Nova: una delle sei porte che aveva allora Milano,
quella verso Monza e Lecco (le altre: Romana, Ticinese, Comasca, Vercellina,
Orientale). Da Monza o Lecco, non da Como, viene il messaggero, che dunque
reca a Milano un messaggio dei confederati lombardi, non unintimazione
dellimperatore, come immaginava il Manzoni. Lo confermano daltra
parte i versi originari: "Ed ecco un messager lombardo a briglia
/ abbandonata entrar da Porta Nova"; e lo ha dimostrato il Gandiglio
nella sua felice analisi del contesto carducciano. a briglie
abbandonate: a briglia sciolta, e perciò a gran carriera.
4. passa e chiede: passa chiedendo, chiede senza fermarsi.
5. fatemi scorta: guidatemi. al: fino al, dal
console Gherardo: personaggio storico, il più insigne cittadino
milanese del tempo: Gherardo o Gerardo Cagapisto, detto abbreviatamente
Pisto, giureconsulto e oratore, più volte console di Milano tra
il 1150 e il 1179, anche se non proprio nellanno di Legnano, e rappresentante
dei Milanesi in tutti gli atti importanti della Lega Lombarda.
6. Il consolo: la forma latineggiante (mentre dicono "console"
i vv. 5 e 9 e la prima redazione; "In mezzo de la piazza il console
era") serve ad evitare i due e consecutivi, ma anche ritaglia la
parola con aulica nettezza.
7. arcione: la parte anteriore della sella; per sineddoche,
sella.
8. parlò: transitivo: disse, spronò
via: "Il cenno al cavallo, che dice anche limpazienza del
cavaliere, e nulla più. La corsa è tutta in quel via,
come uno non anche mosso che è già lontano".
9. fe cenno: fece un gesto di comando, diede ordine ai
trombettieri del Comune.
10. a parlamento: chiamando il popolo a riunirsi in piazza.
11. Squillarono ecc.: ripresa, con lievi varianti ma con efficace
effetto complessivo, del v. 10: la quale "accentua il carattere di
epopea popolaresca, la sciolta narratività del racconto detto e
non letto (per così dire)".
12-20. ché non anche
ecc.: il parlamento viene convocato allaperto con squilli di tromba
perché, dopo la demolizione di Milano ordinata dal Barbarossa quattordici
anni innanzi (1162), non erano stati ancora (anche) ricostruiti
il palazzo del Comune (con espressione nobilmente arcaica, palagio)
e la sala delle pubbliche riunioni (arengo) e la torre con la campana
che chiamasse i cittadini a raccolta. Accenna sì il poeta al palazzo
pubblico, poi della Ragione, che verrà edificato soltanto nel 1233,
su gran pilastri; nel Broletto Nuovo, poi piazza dei Mercanti,
traendo egli nozione e suggestione storica da parole di G. Giulini, autore
di Memorie spettanti alla storia [...] di Milano nei secoli
bassi (1870); "ampio edificio quadrilungo, il quale di sotto
ha un gran portico con due ordini darchi sostenuti da grossi pilastri".
E dai particolari delle fonti la suggestione sallarga a visione,
a pittura, della città in rovina, tra il nero dei ruderi e il verdeggiar
dei rovi, in quella misera piazza attorniata da casipole di legno.
Da finestre e porte ecc.: "queste donne, questi bimbi, fermi
su le porte, affacciati alle finestre che sono appena più su delle
porte, danno a questa adunata un aspetto novissimo e come un tono domestico
e dimesso, e unaspettazione più dolorosa. Gli ultimi sono
già fuori".
22-24. La primavera in fior
ecc.: la primavera matura conduce tra noi, nelle nostre terre, torme di
tedeschi, come è accaduto tanto spesso, come accade secondo il
costume delle genti ermaniche (pur come duso). Evidentemente
il console riferisce ai suoi concittadini, qui e nei versi successivi,
quanto ha saputo dal messaggero, e così ora sintende il significato
di quel messaggio, che è dinformazione e dallarme:
scendendo dalle Alpi sono arrivati rinforzi allimperatore, e tutto
lesercito imperiale è in movimento; preparatevi a ricevere
questa nuova invasione e aggressione, e, se potete, prevenite e attraversate
le mosse del nemico. lurchi: ingordi, rapaci, come lupi
che alla buona stagione escono dalle loro tane per scendere a valle e
far bottino.
25-26. Per lEngadina
ecc.: due arcivescovi ghibellini, Filippo di Colonia e Wichmann di Magdeburgo,
scomunicati dal papa Alessandro III, nemico del potere imperiale
e sostenitore della Lega (ma qui, nel discorso del console, la parola
"scomunicati", come oserva il Valgimigli, "aggiunge al
suo senso specifico un tocco iroso e ingiurioso"), guidarono gli
eserciti (trasser lo sforzo, bella espresione arcaica, ove "sforzo"
significa forza raccolta darmi e darmati, esercito, come spesso
"vis" latino) per lEngadina, cioè per la valle
dellInn, fino al lago di Como. In verità i rinforzi attesi
dallimperatore discesero, pare, per la valle del Reno e poi per
quella del Ticino, se Federico uscì da Como per andare loro incontro
fino a Bellizona: "Sarebbe una piccola offesa alla verità
poetica".
27-28. Trasse la bionda
imperatrice ecc.: Beatrice di Borgogna, seconda moglie di Federico,
venne a sua volta in Italia, recando allimperatore se stessa e un
altro esercito, composto di nuove leve e perciò fresco e gagliardo
(novello). Senonché nella primavera del 1176 limperatrice
doveva già essere in Italia accanto al marito, e allestate
del 1159, al tempo della seconda spedizione in Italia di Federico e dellassedio
di Crema, le cronache ascrivono invece la discesa di ici nella penisola
con un nuovo esercito: altra e certo consapevole infrazione di Carducci
alla storia; ché, come sempre o quasi sempre, spostamenti di tempi
e concentrazioni di fatti rispondono a fini estetici e drammatici, in
una coincidenza di verosimile storico e vero poetico. Peraltro non insisterei
eccessivamente sulla gentilezza e sul fascino dell"eterno femminino
regale" connessi con laggettivo bionda, come fa il Valgimigli,
né essendo quellaggettivo pronunciato dal console di Milano,
vi avverto, come suggerisce il De Robertis, un lieve sapore dironia.
Bionda è detta limperatrice dalle antiche cronache, e bionda
è tipico attributo, da canzone di gesta e da ballata romantica,
di una donna nordica e di nobile sangue; così come, più
avanti, la bruna chioma di Alberto di Giussano entra nella caratterizzazione
tipica del prode guerriero latino.
29-30.Como è co
i forti ecc.: diserzione, tradimento di Como: ha abbandonato la Lega
passando dalla parte del più forte, lesercito imperiale.
Donde un grido di esecrazione e una minaccia di distruzione (esterminio,
altro arcaismo), Como: "a prima era allinizio
del verso, qui è alla fine: come un suggello e una minaccia decisa".
32. fatto lo stuolo:
"altra espressione tecnica dellantico linguaggio militare":
raccolte e ordinate le sue schiere.
33-38. loste:
altro arcaismo, "che accentua la storicità e la poesia".
il marchese di Monferrato ed i pavesi: che, al pari di Como,
avevano abbandonato la Lega e fatto causa comune con limperatore.
Quale volete: quale cosa volete, quale proposta scegliete.
E tre sono le proposte che ora il console enuncia: testare sulla difensiva,
venire a patti, affrontare il nemico in campo aperto. largin
novo: quello che aveva sostituito la cinta difensiva distrutta. Così,
in armi dietro i bastioni, i Milanesi avevano accolto Federico nel 1158
e nel 1159, ricevendone luna e laltra volta assalto e assedio.
mandar messi: che significa inchinarsi allautorità
e ai diritti dellimperatore (Cesare) e conclusivamente accettare
il solo accordo possibile con lui, la resa. La seconda proposta è
"fatta senza persuasione, anzi, per incitamento e inasprimento, onde
poi la terza, la decisiva" (Valgimigli). il Barbarossa:
ora Federico è designato col nomignolo, che riduce a un tratto
la maestà prima conferitagli dal titolo di Cesare e lo riconduce
al ruolo di tiranno, di nemico.
39-40.
A lancia e spada ecc.: "non voglio lasciare di mettere in
rilievo la diversa interpunzione del v. 38 e del v. 40, che pure nelle
parole uguali; ma quello deve correr rapido, senza spezzamenti, dietro
alla foga della conclusione in forma interrogativa, e questo, con le pause
delle due virgole, riproduce la risolutezza della risposta che rimbomba
come tuono nellassemblea" (Candiglio, cfr., p. 49).
41. Alberto di Giussano:
il giovane capitano della Compagnia della Morte, drappello di guerrieri
che avevano giurato di vincere o di morire. Le cronache parlano dellalta
statura e della forte corporatura di alberto, e da queste replicate notizie,
che forse si uniscono a momenti e immagini di letteratura medioevale,
nasce e campeggia il ritratto monumentale della quinta strofa.
42. tutta la spalla:
cfr. limmagine di Franceschino Malaspina in I.G.I. XIV Poeti
di parte bianca. 42-43: "tu dritto in piedi tutta / ergei la
testa su i minor baroni". soverchia sopravanza. Il
Valgimigli vi riconosce una reminiscenza dei Fatti di Enea, là
dove frate guido da Pisa parla di Turno: "Era lo più bello
di tutta Italia ed era sì grande che dalle spalle in su era maggiore
di tutti gli altri uomini".
43. gli accolti ecc.:
i cittadini riuniti intorno al console: in piedi, a definire interamente
la statura di Alberto.
45. torreggia: si
leva come torre, domina come torre: allaltezza si unisce la robustezza.
46. la barbuta: elmo
prolungato nella parte anteriore fino a coprire tutto il volto. Ma Alberto
è a testa scoperta, e quell"elmo in mano è solo
come un ricordo di più, o un annuncio, di guerra". Ed è
un tocco che accresce la storicità del quadro forse senza rispettare
la storia, che molto più tardi, a quanto pare, i guerrieri milanesi
adottarono un simile elmo. Così come, subito appresso, la cappelliera
che scende copiosa sul collo e sulle spalle di Alberto richiama certo
tempi più avanzati, addirittura, in Milano, il secolo seguente.
I consueti anacronismi carducciani, felicemente poetici e rappresentativi.
47. lato... ampie:
si accentua il ritratto in ampiezza e gagliardia.
48. chiara onesta:
due aggettivi che ai tratti tipici ed esteriori del poderoso guerriero
lombardo aggiungono la franchezza e la nobiltà dellespressione,
e umanizzano e rischiarano il ritratto incontrandosi con la luce del sole
che lo colpisce.
50. È la sua voce
ecc.: "la voce ha limpeto e la freschezza di un tuono di maggio
che annunzia tempesta ma anche promette un rinverdire della terra e del
ciclo".
51. Milanesi ecc.:
indirizzandosi ai Milanesi, a esordio della sua commossa e impetuosa orazione,
Alberto rivela unimmediatezza e un trasporto damor fraterno
che certo non aveva il netto e composto "Signori milanesi" del
console.
52. Vi sovvien: vi
torna in mente. Espressione ripetuta altre cinque volte al principio di
ognuna delle strofe successive, ognuna delle quali rievoca un episodio
di umiliazione subita dai Milanesi.
53. calen di marzo:
il primo marzo del 1162, quando Milano, stretta dassedio e allo
stremo delle forze, mandò allimperatore acquartierato in
Lodi gli otto consoli che con le spade sguainate gli giurarono obbedienza,
cui seguirono, tre giorni dopo, trecento cavalieri che ai piedi dellimperatore
deposero gli stendardi, e mastro Guitelmo (o, come dice un cronista, Guintelino)
che a lui consegnò le chiavi della città. sparuti:
emaciati, abbattuti, per la fame patita e la pena del momento.
55. obedienza: "per
effetto della dieresi ha suono stanco, e dice prostrazione grande, sacrificio
e strazio".
56. Cavalcammo: "o
ci fosse anche Alberto fra quei trecento, o sè accomuni, nel racconto
e nellanimo, con quelli", come dicono i cronisti, non "gli
stendardi", come interpreta il Valgimigli, che ama credere in un
altra voluta deviazione di Carducci dalle fonti storiche.
60. E non fu nulla e
non bastò.
62. il dì sesto di
marzo: quando limperatore volle ai suoi piedi tutti i militi
e tutto il popolo e tutte le insegne: un atto di sottomissione generale.
64-65. veniam... venia:
voce verbale ripetuta, lenta, che ha suono e figura di esodo doloroso,
di processione interminabile. de le tre porte: ovvero dei
tre quartieri di porta Vercellina, di porta Comasca e di porta Nuova.
il carroccio: il celebre carro da guerra, simbolo della
libertà comunale e immagine sacra della città al seguito
dei suoi combattenti: aveva quattro ruote, era ricoperto da un panno coi
colori della città, era trainato da coppie di buoi anchessi
ricoperti da gualdrappe con gli stessi colori, e recava al centro un altare,
una croce e unantenna col gonfalone e in cima una campana che univa
il suo martellante suono agli squilli delle trombe di bronzo; sul grande
palco stavano, intorno al sacerdote, i trombettieri e militi scelti.
parato a guerra: proprio apparecchiato e addobbato come quando
veniva condotto in battaglia, e qui per esser condotto alla resa.
66. gran tratta poi di popolo:
moltitudine grande, quella formata dagli abitanti degli altri tre quartieri
cittadini. Cfr. Dante, Inf., III, 55-56: "e dietro le venìa
sì lunga / di gente". Ma "gran tratta di popolo"
è nelle pagine di uno degli storici ottocenteschi che Carducci,
insieme ai cronisti medioevali, riprendeva nella trama storica nonché
nei vocaboli e nelle espressioni particolari con avvedutezza dartista.
68. gli ultimi squilli:
dopo tanti squilli di esaltazione e di gloria cittadina, gli squilli della
resa al principe vittorioso, e implicitamente di saluto alla libertà
ormai perduta.
70. Ei toccò i lembi:
in segno di possesso.
72-76. vestiti: indossati.
I sacchi della penitenza sintegrano con i piedi scalzi, le corde
al collo, il capo cosparso di cenere, i ginocchi piegati nel fango: un
climax di dolore e furore che, mentre incorpora e dissolve lirrilevante
sconnessione cronologica degli episodi (al marzo 1162 son riportati fatti
del settembre 1158 e del dicembre 1163), prosegue landamento della
settima strofa (dove la parola "carroccio" vien ripetuta tre
volte a sottolineare lumiliazione e la profanazione della patria)
e volge alla "risoluzione irrefrenabile e invincibile".
chiamavam: invocavamo.
80. diamantino: freddo
e duro come il diamante. Impassibile e inflessibile il solo imperatore,
mentre signori e cavalieri del suo séguito, impietositi da tanta
miseria, piangevano. Così lEpistula di Bucardo, fonte
sicura del poeta: "sed solus Imperator faciem suam firmavit ut petram".
82. tornando a lobbrobrio:
rinnovandosi lumiliazione. la dimane: il giorno dopo.
In verità quello stesso giorno i Milanesi, sperando di ottenere
misericordia, "cercarono di giungere alla presenza della imperatrice
e, non avendo potuto, gettaron pe cancelli le croci, che avevan
recate seco, verso lappartamento di lei". Lo spostamento di
un giorno è qui dovuto a cattiva interpretazione dei cronisti antichi
da parte degli storici ottocenteschi; ma nella rappresentazione poetica
serve ad unire questo episodio, il più pietoso e patetico, al diniego,
alla condanna, brutale e feroce, dellimperatore.
86-87. bionda... bella...
fida... pia: sono gli attributi espressi dalla Historia di
Ottone Morena: "Beatrix... fuit..; capillis fulgens ut aurum, facie
pulcerrima.... viro suo plenissime subdita, eumque timens ut dominum et
diligens omnifariam ut virum, ... Dei cultrix"; e bionda e fida
richiamano, nel contesto accesamente patetico delle suppliche di una folla
umiliata e disperata, le parole del console ai vv. 27-28. mercé:
pietà. di nostre donne: "se non di noi,
par che dicano, di loro almeno, che sono, come te, donne e madri".
88. Ella trassesi indietro:
"quasi impietosita o per sfuggire a una possibile promessa dinteressamento".
E inoltre si commenta: "non diritta restando, in piedi, come il suo
re (troppo debole una donna per non sentirsi piegate i ginocchi, vinta
da tante voci di pietà!), ma più crudele forse in quel suo
vile ritrarsi sdegnata contro il suo stesso cruccio": o anche: "è
un gesto di rifiuto; ma senza sdegno; quasi con gentilezza e pudore; quasi
rammaricandosi di non poter fare altrimenti". Ma forse si dice troppo,
con disquisizioni che suonano capziose e non riescono omogenee tra loro.
Limperatrice si ritrae, perché sente quella gente estranea
a sé e ribelle al marito, e sa che a questi nemici il marito non
perdona. Come poi il De Robertis riconosca un nesso logico-narrativo tra
il ritrarsi di lei e le decisioni di lui (Egli cimpose: "ed
egli, allora, senza più esitare, e come fatto forte dal diniego
di lei, impose ecc."), come se luna e laltro fossero
presenti sulla stessa scena, è difficile spiegare.
89. le due cinte:
la doppia cintura fortificata dei bastioni di Milano.
90. tanto chei
ecc.: "verso che specialmente per laccento ribadito sulla sesta
e settima sillaba ha un suo andamento prepotente e scolpito, e vasto".
con schierata oste: col suo esercito schierato in ordine
di battaglia. Cfr. v. 33.
92-93. nove giorni ecc.:
i milanesi attesero a lungo, e intanto partirono da Milano larcivescovo
Oberto da Pirovano ed altri ecclesiastici e notabili, sospettati poi di
tradimento (in verità Federico risparmiò le loro case; e
il termine feudale valvassori, vassalli minori, ne ribadisce la
sudditanza allimperatore). Arrivò infine un bando imperiale,
implacabile: dava ai Milanesi otto giorni di tempo per abbandonare la
città. Nella realtà storica non fu di nove giorni, ma di
undici lattesa dei Milanesi, e il bando arrivò non il decimo,
ma il dodicesimo giorno: le consuete discrepanze tra le minuzie, storiche
e la pienezza e continuità poetica. tristi: maledetti,
sciagurati.
97. a SantAmbrogio:
alla chiesa di SantAmbrogio, patrono della città.
98. ci abbracciammo
ecc.: "secondo luso antico di abbracciarsi agli altari implorando".
100. come can tignosi:
"Lespressione popolaresca [...] rende anche più manifesta
e tragica la situazione. Tanto più ammirabile limpasto linguistico,
ora popolaresco, ora classicheggiante, ora colloquiale e quasi prosastico,
e sempre straordinariamente fuso".
102. la domenica triste
ecc.: il primo di aprile del 1162, ultimo giorno di una settimana che
aveva visto la distruzione di gran parte dei quartieri milanesi ad opera
degli alleati lombardi dellimperatore, Comaschi e Pavesi e Lodigiani.
Rimaneva ancora la cerchia interna delle mura con le sue innumerevoli
torri: fu abbattuta proprio quel primo giorno daprile, domenica
degli ulivi, e così si consumò quella settimana di passione
che unì il dolore della città al dolore di Cristo.
104. i quattro Corpi
santi: forse i sobborghi in cui erano stati raccolti in parte i profughi
milanesi.
106-107. al fin: al
termine della distruzione. per la ruina polverosa: attraverso
la nube di polvere sollevata dai crolli.
108. spezzate, smozzicate,
sgretolate: "osserva la progressione, dove se spezzato
fa pensare a qualcosa che sta saldo, in piedi, e che a un tratto rovina,
smozzicate dice lo scempio, sgretolate la distruzione ultima".
110. Di sotto, lossa
ecc.: "sopra, lossa della città distrutta: sotto, lossa
dei morti. Morte sopra morte".
112-114. con tutte
due le man ecc.: quasi per non vedere la desolante realtà,
e ad un tempo per coprire, lui guerriero, lo spettacolo del pianto. Ma
quel pianto, che poi rompe ogni ritegno (singhiozzava... come un fanciullo),
"è il culmine delleloquenza dAlberto, e riesce
per ciò più efficace di qualunque altra parola chegli
avesse soggiunta. Da ciò lallora del v. 115").
115. Ed allora: dopo
avere espresso a gran voce la sua volontà in risposta alle parole
del console, e dopo avere ascoltato in commosso silenzio le tragiche evocazioni
di Alberto, il parlamento, cioè tutto il popolo milanese, raccogliendo
il pianto del suo eroe e mutandolo in esplosione di sdegno e dira,
"rientra nellazione del poema": e col suo eroe domina
le ultime due strofe.
116. quasi un fremito
di belve: "ma sono belve che nulla persono della loro perfettissima
e generosa umanità, e il cui coraggio tranquillo ed ironico si
esprime al termine della strofa seguente, nellaugurio abbiano ad
andare in purgatorio gli uomini dellimperatore...".
117. da le porte... da
i veroni: riprende il v. 19 ("Da finestre e porte"). E balconi,
o più semplicemente finestre, sono, con colorito romanticamente
letterario.
121. Or ecco: è
il momento in cui Alberto si placa, confortato dallimpetuoso e generale
consenso.
122. il dì nostro:
il giorno della nostra riscossa e della nostra gloria.
125. o bel sole:
cfr. vv. 19 e 48. ancora il sole, qui segno di Dio, e sempre simbolo di
libertà. sacramento: latinismo: giuramento.
126. diman da sera:
domani, verso sera. Ché basterà un giorno, e sarà
certo lindomani, per combattere e vincere il Barbarossa.
127. in
purgatorio: "non sembra sia stata avvertita la finezza religiosa
e modesta di questaccenno al Purgatorio. Alberto di Giussano si
considera umilmente, cristianamente peccatore; e si crede salvo solo per
le preghiere dei cittadini e per essersi offerto e sacrificato alla patria".
128. e la rechi pur io:
e sia pure io stesso, caduto in battaglia, a recarla. Ma il
popol: ma il popolo, di rimando.
129-130. Fia... imperïali:
sarà meglio che la rechino, messaggeri in Purgatorio, i nemici
uccisi. Ironia ed augurio; di fatto quel preziosamente e quasi impercettibilmente
arcaico fia, non equivale a "sarà", ma ad un congiuntivo
ottativo. Il sole: a chiudere la canzone ricompare il sole,
nel suo alto significato religioso e patriottico e nella gloria del tramonto.
ridea: splendeva, e pareva benedire il giuramento e partecipare
allesaltazione di popolo. il Resegone: monte delle
prealpi lombarde che domina il ramo orientale del lago di Como, ad est
di Lecco, e fu immortalato dalla descrizione del lago e delle terre e
dei monti circostanti nel cap. I dei Promessi sposi (" [...] due
monti contigui, luno detto di San Martino, laltro, con voce
lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in
vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al
primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le
mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un
tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di
nome più oscuro e di forma più comune". In lombardo
"sega" si dice "resega"). Per la seconda volta il
monte lombardo è stato immortalato in questultimo verso della
Canzone di Legnano, insieme al più clamoroso errore geografico
di Carducci poeta: "il Carducci aveva bisogno, per ragion poetica,
dun sole occiduo che splendesse come augurio e promessa di vittoria
dopo la commossa orazione di Alberto di Giussano, e, poco familiare coi
luoghi, lo fece sbadatamente calare dietro una montagna chè
invece a oriente della città, o al più a nord-est"
(Trompeo, La geografia del Cardeucci, in ip., Lazzurro
di Chartres 1958, p. 249). Di questo errore, come sapiamo, Carducci
fu informato, ma non si preoccupò di correggere: e lalterazione
geografica si allinea alle tante altre trasgressioni e mutazioni storiche,
piccole o grandi, qui e altrove, caratterizzandosi e legittimandosi appieno
nella logica della poesia, nella verità della fantasia.
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